I Social Network e il loro effetto sulla mente
Il SOCIAL NETWORK PUO’ MODIFICARE LA MENTE?
Vi ricordate com’era la vostra vita una decina di anni fa circa? Quando era il compleanno di un amico gli si facevano gli auguri dandogli un bacio e magari regalando un pensierino. Se avessimo voluto comunicare qualche evento significativo della nostra vita, si usciva con qualcuno e si parlava davanti ad un caffè. L’uso intensivo dei social sta cambiando il modo in cui agiamo: oggi possiamo fare gli auguri di compleanno su Facebook e sbirciare le attività quotidiane di amici, conoscenti e sconosciuti su Instagram. Tuttavia a cambiare non è solo il nostro comportamento: i social network stanno cambiando le nostre menti.
Fin dai tempi dell’antica Grecia è nota l’importanza dell’interazione faccia a faccia, rispetto alle semplici parole scritte su una pagina. Socrate diceva che una volta messo per iscritto, ogni discorso circola per le mani di tutti, tra chi l’intende e tra chi non si interessa(1). Oggi il social network dà l’opportunità di abbandonare l’interazione interpersonale e con questo abbandono arriva una riduzione globale nel rischio di imbarazzo e dei sentimenti di disagio nelle interazioni sociali. Nessuno può vedervi arrossire, sentire la voce che diventa acuta o sentire il palmo della mano sudato; al contempo, non ci si può accorgere di tutti quegli importanti indizi che fanno capire come un’altra persona potrebbe reagire.
Secondo alcuni studi, il social network agirebbe come deterrente e via di fuga per persone che nella vita sociale reale sperimentano difficoltà di socializzazione; a causa di tratti del carattere come la timidezza o situazioni d’isolamento sociale, l’utilizzo delle nuove tecnologie e dei social network sembrano divenire una fonte privilegiata di emozioni e sensazioni appaganti ed intense , seppure scaturite da dimensioni del tutto virtuali (2). Il social network può rappresentare così un mezzo per fuggire dalla realtà quotidiana e rifugiarsi in un mondo illusorio e gratificante, in cui l’elemento virtuale permette di superare le difficoltà e le inibizioni che possono caratterizzare le interazioni reali (3).
COS’E’ L’INTERNET ADDICTION DISORDER?
Secondo alcune stime, una media compresa tra il 5 ed il 10% dei fruitori di internet è affetto da una vera e propria patologia legata all’utilizzo del web, un disturbo la cui sigla psichiatrica è IAD (Internet Addiction Disorder). Nei soggetti affetti da questo disturbo, staccarsi dalla rete è vissuto come un incubo e può comportare crisi simili a quelle generate dall’astinenza per i tossicodipendenti, con ansie, preoccupazioni, tremori e crisi di panico.
Un uso totalmente sregolato e privo di limiti della rete che, oltre ad incidere vistosamente sulle relazioni sociali che risultano fortemente danneggiate, agisce come una vera dipendenza, come le dipendenze da sostanze. Le scansioni cerebrali di queste persone rivelano danni nelle stesse aree colpite nel cervello di chi fa abuso di droghe: si nota una degradazione della sostanza bianca (fasci di fibre nervose che collegano l’encefalo al midollo), nelle regioni che controllano le emozioni, l’attenzione e i processi decisionali. La ragione è da ricercare nell’appagamento immediato, con poco sforzo, offerto dai social media, che fa sì che il cervello sviluppi dipendenza dagli stimoli da essi offerti.
Studi in risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che i centri della ricompensa nel cervello sono più attivi quando, in una conversazione, stiamo parlando di noi, piuttosto che quando ci è chiesto di ascoltare. Questo dato potrebbe spiegare perchè le persone trascorrono ore su Facebook: quando scriviamo di noi nel nostro cervello si libera dopamina, un neurotrasmettitore associato alle sensazioni di benessere.
SOCIAL O A-SOCIAL: LA COMPROMISSIONE DELL’EMPATIA
Secondo Sherry Turkle , Facebook da’ l’illusione di compagnia senza le pretese di un’amicizia (4). Quindi sembra che l’intimità del mondo reale e l’intimità di Facebook siano lontane dall’essere la stessa cosa, distinzione emersa da un recente sondaggio (5). Questa separazione tra il numero di cyber-amici ed il numero di amici reali si può applicare anche alle generazioni più vecchie. Uno studio ha valutato le relazioni tra l’uso di social media e la vicinanza emotiva in soggetti di età compresa tra i 12 ed i 63 anni (6).
Come potrebbe differire la socializzazione online da quella del mondo reale? Una differenza potrebbe essere nello sviluppo delle abilità di comunicazione interpersonale e, di conseguenza, nell’empatia.
L’abilità di preoccuparsi per gli altri e di condividere esperienze emotive è qualcosa che differenzia gli esseri umani dalla maggior parte del regno animale (tuttavia gli scimpanzé, come gli esseri umani, possiedono neuroni specchio che operano nel cervello: ovvero cellule, come quelle che codificano il comportamento del mangiare, che possono essere attivate semplicemente dall’osservazione di tale comportamento, ad esempio dall’osservazione di un altro scimpanzé che mangia. Sembra che lo scimpanzé osservatore abbia empatizzato con il suo compagno che sta effettivamente mangiando l’uva. Quindi la capacità di entrare in empatia è una componente basilare del sistema cerebrale dei primati).
Tuttavia non si nasce con la garanzia di avere una buona empatia. Sarebbe difficile immaginare un tratto così complesso come il semplice prodotto dei nostri geni. La vera e propria capacità di empatizzare con altri continua a maturare fino ai nostri vent’anni; quindi c’è un ampio lasso di tempo in cui ambiente ed esperienza nelle relazioni giocano un ruolo cruciale nel determinare la nostra capacità di empatizzare.
Secondo il Dr. Maxson McDowell i soggetti che usano ossessivamente i social network potrebbero sviluppare tratti simil-autistici , come l’evitare il contatto oculare. Gli esseri umani hanno un mandato evolutivo che porta all’adattamento al proprio ambiente, e quando questo ambiente non fornisce le opportunità di provare quelle abilità interpersonali essenziali per l’empatia , una conseguenza potrebbe essere lo sviluppo di difficoltà simil-autistiche.
E’ interessante notare che , secondo David Amodio della New York University e Chris Frith dello University College London, uno dei sintomi dell’autismo è l’ipoattività della corteccia frontale; quest’area è essenziale affinchè il cervello lavori in modo coeso. Se quest’area risulta ipoattiva, potrebbe esserci un significativo impatto sulle operazioni cerebrali, creando quella mentalità in cui il sensoriale trionfa sul cognitivo e nulla ha più significato, tutto è esattamente com’: una risata, un’espressione accigliata, un arrossamento, un sorriso potrebbero significare molto meno: ciò che si vede è una modificazione superficiale del volto, nulla di più.
IL SOCIAL NETWORK PUO’ DISTRUGGERE LE RELAZIONI REALI?
Quando il tempo trascorso ad instaurare e mantenere relazioni online rimpiazza il tempo trascorso nelle reali interazioni umane, è probabile che venga a mancare una più profonda intimità con gli altri. Quindi è necessario ragionare sull’impatto delle relazioni virtuali sullo stile di vita. Un eccessivo uso dei social network potrebbe degenerare in problematiche interpersonali e danneggiare , o addirittura distruggere, carriere e matrimoni.
Secondo uno studio del 2013, un uso elevato di Facebook era associato ad esiti negativi nelle relazioni portando a più imbrogli, rotture e divorzi. Questo effetto era influenzato da quanto conflitto le coppie avessero sperimentato in relazione a Facebook (7). I siti di social network ora espongono gli utenti a informazioni a cui non avrebbero altrimenti accesso, come foto di un ex fidanzato/a con l’attuale compagno/a. Quindi Facebook può alimentare il lato insicuro e geloso della natura umana.
Uno studio si è basato su una precedente scoperta secondo la quale un continuo contatto offline con un precedente partner potrebbe compromettere il recupero emotivo dopo la rottura (8). I risultati ottenuti da 464 partecipanti hanno rivelato che coloro che rimanevano amici su Facebook con i precedenti partners, rispetto a coloro che non avevano più l’amicizia, hanno riportato un desiderio sessuale e brama per l’ex compagno/a; questo risultato era combinato, come in una miscela tossica, ad una crescita personale ridotta. Secondo i ricercatori “nell’insieme queste scoperte suggeriscono che l’esposizione all’ex compagno/a tramite Facebook possa bloccare il processo di cura e di distacco dalla passata relazione”.
E’ difficile dimenticarsi di una persona se la si vede quotidianamente e Facebook rende questa insana perversione molto accessibile e molto difficile da resistere. Tradizionalmente le nostre relazioni sarebbero periodicamente ridotte: per esempio attraverso la fine di una relazione intima, il litigio con un amico, il cambio di lavoro, scuola o residenza, o semplicemente perdendo i contatti con la persona. Ora, grazie a Facebook, possiamo trasportare tutto quel bagaglio emotivo dal passato al presente, come nei Gironi danteschi in cui si sconta, in un eterno presente, ciò che si è agito nel passato.
Dr.ssa Loredana Di Cicco
Psicologa clinica e del lavoro
Esperta in Neuroscienze per le disabilità cognitive
Esperta in tecniche di rilassamento profondo
https://www.centroiltulipano.com
Note:
1-Plato. 1925, Plato in Twelve Volumes.
2-Caretti, La Barbera, 2005.
3-Cantelmi et al., 2000.
4-Turkle S., 2012. Alone together: why we expect more technology and less from each other. New York: Basic Books.
5-Grieve, R., Indian, M., Witteveen, K., Tolan, G. A., and Marrington, J. 2013. Face-to-face or Facebook: Can social connectedness be derived online? Computers in Human Behavior.
6-Pollet, T. V., Roberts, S. G. B., and Dunbar, R. I. M. 2011. Cyberpsychology, Behavior and Social Networking.
7-Clayton, R. B., Nagurney, A., and Smith, J. R. 2013. Cheating, breakup, and divorce: is Facebook use to blame? Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking.
8- Marshall, T. C. 2012. Facebook surveillance of former romantic partners: Associations with post-breakup recovery and personal growth. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking.
Approfondimenti:
Begley, S. (2008). The plastic mind. London: constable & robinson.
Bowlby, J. (1969). Attachment and loss. New York: Basic Books.
Greenfield, S. (2011). You and me: The neuroscience of identity. London: Notting Hill.
Greenfield, S. A. (2007). I. D.: The quest for meaning in the 21st Century. London: vintage.
Turkle, S. (2011). Alone Together: Why we espect more from technology and less from each other. New York: Basic Books.
Watson, R. (2010). Future Files: A brief history of the next 50 years. London: Nicholas Brealey.