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30
Ott

Atttacchi di panico: come comprenderli e affrontarli

Il termine “panico” indica un “senso di forte ansia e paura che un individuo può provare di fronte a un pericolo inaspettato, e che determina uno stato di confusione ideomotoria, caratterizzata per lo più da comportamenti irrazionali”; rientra nella macro-area dei Disturbi d’Ansia. L’ansia è una normale risposta del nostro organismo che si prepara ad affrontare ciò che avverte come un pericolo. Quando i nostri antenati si trovavano di fronte alla minaccia di animali feroci o popoli ostili, i cambiamenti che avvenivano nel loro corpo li preparavano alla lotta o alla fuga. Al giorno d’oggi i pericoli sono di tutt’altra natura, ma di fronte ad una situazione che ci mette paura, o che percepiamo come minacciosa, in noi si verificano gli stessi cambiamenti di allora.

L’attacco di panico è un’eccessiva reazione fisica e psichica dovuta a quello che noi percepiamo come un pericolo; consiste in una intensa apprensione, paura e ansia; arriva di solito quasi improvvisamente e ha, generalmente, una breve durata. Rappresenta uno tra i disturbi più diffusi della nostra società contemporanea.

Quando gli attacchi di panico sono ricorrenti, si parla di Disturbo di Panico. Spesso un attacco di panico non è preannunciato da nessun sintomo in particolare, arriva improvvisamente e inaspettatamente. E’ questo il motivo per cui spaventa tanto. In realtà  ha sempre un fattore scatenante, anche quando non siamo in grado di riconoscerlo come tale.

Durante l’attacco di panico i nostri pensieri si modificano, e si affaccia il timore che accadrà qualcosa di grave: morte imminente, follia, o pericolo di una terribile umiliazione di fronte ad altri…il cuore batte più forte, il respiro diventa più affannoso, dolori al petto, senso di confusione, gambe molli, sudorazione eccessiva, vampate, vertigini, rossore, mal di testa. Spesso, a fronte di ciò, la reazione primaria è quella di recarsi in ospedale per fare esami e accertamenti; tuttavia in questi casi gli esiti delle indagini organiche rimandano un quadro clinico nella norma sul piano fisiologico.

Molto spesso dopo questa rassicurazione ci si tranquillizza, ma una delle caratteristiche degli attacchi di panico è proprio quella per cui, nonostante ci sia stata un’esperienza rassicurante sul piano organico e che l’idea di morire sia risultata irrealistica, si ripetono episodi di continuo allarme poiché si comincia ad aver paura di un nuovo episodio di panico. Si attivano infatti dei circuiti sotto-corticali che scatenano tutta una serie di reazioni biochimiche, che si traducono in sintomi somatici severi.

L’attacco di panico ha una componente corporea e neurovegetativa importante, il corpo è coinvolto in maniera perentoria e per questo la percezione di morte imminente è così forte.

A livello fisiologico gli stimoli di paura assorbiti a partire da uno stimolo esterno (o interno) arrivano all’amigdala, un organo del sistema nervoso centrale che controlla la paura; nel caso lo stimolo sia eccessivamente intenso l’amigdala manda per via diretta messaggi neuro ormonali alle varie ghiandole e ai vari organi che si mettono in moto. E’ il circuito primitivo della paura che governa il repertorio di emergenza e che consente di mettere in atto reazioni immediate quali la lotta e la fuga. Scatena le reazioni ormonali e neurovegetative connesse alla difesa. E’ la risposta attacco-fuga.

Per questa ragione l’attacco di panico si distingue per il coinvolgimento del corpo con manifestazione di allarme. Ma c’è dell’altro: il circuito primitivo della paura, che si sottrae al controllo della coscienza, comporta l’inconveniente che il riconoscimento del pericolo può essere falso. L’angoscia dell’attacco di panico risulta imprigionata nel circuito primitivo della paura.

Gli stati affettivi sono spesso connessi a un vissuto di perdita (reale o interna), ed è proprio tale vissuto di perdita che rappresenta “il pericolo” a livello intrapsichico, che può produrre anche paure specifiche connesse all’abbandono, alla perdita del controllo sul proprio corpo o sulla propria mente. Nelle relazioni tutto questo si traduce in intense preoccupazioni relative al cercare continue rassicurazioni, alla paura di essere rifiutati, al vissuto di colpa e inadeguatezza, ad oscillazioni tra avvicinarsi e allontanarsi dall’altro.

La presenza di attacchi di panico è un segnale, un avvertimento che l’individuo sta attraversando una crisi molto profonda rispetto alla sua capacità  di affrontare le difficoltà  che in quel momento specifico di vita si stanno presentando; dunque le difese e le strategie maturate fino a quel momento non risultano più utili. E’ necessario trovare un altro modo e un’altra strategia nei confronti degli avvenimenti che si stanno attraversando.

Proprio per questo motivo, oggi, risulta essere un disturbo così diffuso: siamo in un periodo storico e in un contesto socio culturale in cui siamo sollecitati a continue prestazioni, a un ritmo di vita molto intenso, e risulta vitale poter dimostrare di saper superare qualunque difficoltà  ci si presenti. Arriva un momento in cui la nostra impalcatura psichica e corporea crolla, e noi ci sentiamo espulsi in un mare di angoscia insopportabile. Si crea una fragilità  nel Sé, che sembra frantumare tutto.

Le esperienze emotive stressanti scatenano una costante sensazione di essere in pericolo a causa di forze sconosciute, gli altri che ci circondano sono classificati come fonte di pericolo o fonte di protezione. E’ importante sottolineare che queste manifestazioni, in cui l’ansia sembra essere indefinita, in realtà  possono mascherare angosce specifiche più disturbanti che rimangono fuori dalla consapevolezza.

Molteplici sono gli approcci possibili per affrontare la questione.

Spesso l’aiuto farmacologico in questi casi risulta essere utile in una prima fase: agendo al livello inferiore, gli psicofarmaci cercano di ridurre l’intensità  delle reazioni neurovegetative scatenate dal sistema limbico e combattono lo stato depressivo di base; vanno tuttavia usati con cautela a causa dell’alto rischio di dipendenza.

La terapia cognitivo-comportamentale, agendo a un livello intermedio, cerca di correggere la distorsione percettiva, che genera la paura, mediante strategie di decondizionamento e graduale esposizione del paziente allo stimolo che induce il terrore.

La terapia psicoanalitica ha come scopo quello di agire a livello strutturale e non puramente sintomatico, di favorire un senso di sicurezza interna nelle proprie capacità  di poter tollerare e ridurre l’ansia. La difficoltà  che spesso incontra chi soffre di attacchi di panico sta nel tentativo di integrare i sintomi corporei in un contenitore biologico; si attiva cioè una intelligenza cognitiva, che si mette a osservare “dall’esterno”, alla lontana, ma, non trovando un nesso riconoscibile, il paziente si terrorizza, e, nella prospettiva di una imminente catastrofe, pensa come unica risorsa disponibile nell’immediato la fuga dalla situazione ansiogena.

Per questo motive risulta così fondamentale la ricerca di uno spazio di pensabilità , possibile all’interno di un contesto di psicoterapia psicoanalitica: riconoscere come si formano i sintomi, in quali situazioni più facilmente compaiono e quale è il ruolo dell’immaginazione catastrofica. Il paziente ha così la possibilità  di rivivere in seduta la vicenda traumatica che viene analizzata, condivisa con il terapeuta e sperimentata in una sequenza potenzialmente pensabile. Questo tipo di lavoro analitico permette di prendere atto del proprio contributo al costituirsi dell’attacco e ha il vantaggioso effetto di liberare nuovi spazi ed energie per lo sviluppo.

 

Dott.ssa Giulia Cimarelli

Psicologa clinica

Responsabile dell’Area di Consulenza e Sostegno Individuale e Familiare

https://www.centroiltulipano.com

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