Anoressia Nervosa in adolescenza: qual è il ruolo dei genitori?
Lo studio del ruolo che i fattori familiari svolgono nella patogenesi e nel mantenimento dell’Anoressia Nervosa in adolescenza è da sempre stato oggetto di un considerevole interesse da parte di clinici e ricercatori, per gli importanti risvolti che può avere dal punto di vista terapeutico, in particolar modo se i pazienti affetti da tali patologie vivono ancora nel contesto familiare.
In realtà, fin dai primi giorni di vita del bambino, il momento del pasto e, più in generale, la nutrizione e l’alimentazione rappresentano un momento di cura e accudimento importante da parte del genitore. Attraverso l’esperienza di nutrire ed essere nutrito, il bambino e il genitore possono sperimentare un feedback positivo di soddisfazione e rassicurazione; al contrario, difficoltà in questo processo possono portare ansia, rabbia e frustrazione da parte di entrambi i soggetti coinvolti.
Il cibo, quindi, fin dai primi momenti di vita, può assumere un significato relazionale e di comunicazione.
Spesso, difficoltà alimentari nei primi anni di vita sono fenomeni temporanei inquadrabili in precise tappe evolutive, il cui significato varia a seconda del momento di insorgenza. Quando però assumono un tratto stabile nel tempo e si associano ad una modificazione del funzionamento generale (sociale, scolastico, familiare) è possibile che si definisca un vero e proprio disturbo alimentare.
La forma più frequente è l’Anoressia Nervosa, che colpisce soprattutto il genere femminile e ha un esordio sempre più precoce, con picchi anche intorno ai 9 anni. L’Anoressia Nervosa è una patologia alimentare complessa, derivante dall’intreccio di diversi fattori di rischio che riguardano aspetti individuali, familiari, sociali e genetici. Il suo sviluppo, quindi, non può essere ascrivibile ad un’unica causa, ma sembra essere il risultato di vari possibili processi patogenetici, a loro volta generati da molteplici variabili.
Lo studio sulle caratteristiche familiari in Anoressia Nervosa, tuttavia, si è modificato nel tempo. Da un punto di vista eziologico, che considerava le interazioni familiari disfunzionali all’origine dell’esordio del disturbo, attualmente la letteratura sottolinea il ruolo del funzionamento familiare nel mantenimento del sintomo e, di conseguenza, il potenziale contributo al trattamento.
Le linee guida per il trattamento dell’Anoressia Nervosa in infanzia e adolescenza, ad esempio, hanno da tempo considerato come fondamentale il ruolo della famiglia come risorsa per un esito positivo della malattia e incentivato programmi multidisciplinari di intervento con un focus sul coinvolgimento familiare e genitoriale nella risoluzione del sintomo.
Ma in che modo la famiglia può influenzare l’andamento della sintomatologia e quali sono i comportamenti su cui maggiormente porre l’attenzione?
Aldilà della familiarità genetica, tra i principali fattori di rischio familiari troviamo la presenza di abitudini alimentari non corrette: l’iperalimentazione o, al contrario, un’attenzione eccessiva alle quantità e alla qualità dei cibi assunti possono rappresentare dei modelli di comportamento alimentare negativi per i figli.
Allo stesso modo, la presenza di elevate richieste prestazionali verso i figli da parte dei genitori e la tendenza a mettere in atto modalità relazionali non adeguate alla loro età, soprattutto in adolescenza, potrebbero favorire da una parte richieste di cura e di accudimento regressive, dall’altra un eccessivo investimento sullo studio e sulla performance, a discapito della socialità e del confronto con i pari, momenti fondamentali per la crescita psicologica dell’adolescente.
Cosa può fare un genitore se riconosce i primi segnali di un disturbo alimentare?
Dal punto di vista alimentare, è importante proporre un atteggiamento flessibile nei confronti del cibo: un’alimentazione sana è apprezzabile, ma non deve mai sconfinare in un atteggiamento rigido o paranoico nei confronti del cibo. E’ importante, inoltre, essere presente ai pasti principali e non lasciare eccessiva autonomia nella loro gestione: è il genitore che si deve occupare della preparazione dei pasti e della scelta del menù, così come della quantità giusta da assumere.
Dal punto di vista relazionale e affettivo, è importante creare e mantenere un clima sereno durante i pasti, non saturato da criticismi e ostilità, ma costituito da momenti di condivisione e scambi affettivi tra tutti i membri della famiglia. Infine, fondamentale è la possibilità per il figlio di parlare di ciò che lo preoccupa. In questo senso, è utile incoraggiare il dialogo e mantenere una disponibilità verso le possibili aperture dell’adolescente.
In ogni caso, la diagnosi precoce è uno dei fattori più importanti per il buon esito del disturbo. Per questo motivo, se la preoccupazione persiste, è bene non sottovalutare i segnali e rivolgersi al proprio medico o pediatra di base per essere indirizzati ad un centro specialistico ed effettuare una valutazione più approfondita.
Dott.ssa Michela Criscuolo
Psicologa clinica
Responsabile dell’Area di Valutazione Psicodiagnostica clinica e peritale
Esperta in Psicodiagnostica e in Diritto del Minore, Mediatore Familiare
Rete Psicologi Alimentari (PASS) – Ordine degli Psicologi del Lazio