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Mag

Qual è il costo emotivo della cura?

Compassion fatigue, trauma secondario e burn out

Normalmente ci troviamo a parlare della qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie, del loro benessere psicofisico, lasciando sullo sfondo  quello che succede a chi se ne prende cura, non considerando la stretta relazione che intercorre tra chi cura e chi è curato.

Possiamo parlare di una progressiva fatica della cura che coinvolge diverse figure professionali in diversi settori e colpisce anche  chi spesso si trova ad assistere a casa un familiare malato. Si sviluppa quando vi è un’ esposizione   ripetuta alla sofferenza e al dolore degli altri,   per questa ragione i più colpiti   risultano  i professionisti che lavorano in campo sanitario.  Questo stato può portare un individuo a sviluppare una serie di disturbi comportamentali  ed emotivi, che si possono manifestare in diverse forme e che possono  compromettere la qualità della vita personale e lavorativa, fino a sviluppare una vera e propria sindrome,  la Compassion Fatigue, spesso collegata ed in stretta relazione con il Trauma Secondario e la Sindrome da Burnout. Sebbene ci siano alcune differenze,  i concetti di Stress Traumatico Secondario e Compassion Fatigue possono essere considerati sovrapponibili (Bride, Radey e Figley, 2007). Ma cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta.

Cos’è la Compassion Fatigue?  

Il concetto di  Compassion Fatigue descrive i sentimenti di profonda partecipazione e comprensione per qualcuno colpito da sofferenza, accompagnati da un forte desiderio di alleviarne la sofferenza o eliminarne la causa.  Possiamo definirla come il disagio psicologico indotto dal vivere costantemente a contatto con il dolore altrui, uno stato di  tensione e preoccupazione, caratterizzato da una sintomatologia che ricorda quella del Disturbo Post-Traumatico da Stress  e che può manifestarsi in chi è frequentemente  esposto alla sofferenza e al racconto delle altrui esperienze traumatiche (Figley, 2002).

Quali sono gli effetti?

I primi studi su questa condizione psichica sono stati fatti nel campo della traumatologia  e hanno  definito la Compassion Fatigue anche come il costo emotivo della cura. Ha un’insorgenza  acuta ed improvvisa, che può essere scatenata anche da una sola esperienza percepita come particolarmente critica dalla persona che ne è colpita. Si può manifestare con un  senso di solitudine; incubi; senso di irrequietezza, ipersensibilità, ansia diffusa, alterazione dell’umore, rabbia, disturbi del sonno, tristezza. I segni di questa condizione possono sfociare in quello che viene definito Stress Traumatico Secondario. 

Cos’e il Trauma Secondario? 

Inizialmente chiamato  traumatizzazione vicaria (McCann e Pearlman, 1990)  poi Stress Traumatico Secondario  (Figley, 1995), si manifesta con una serie di reazioni comportamentali ed emotive derivate  dalla conoscenza di eventi traumatici sperimentati da altri o in seguito all’aiuto o al tentativo di aiuto a persone traumatizzate. Secondario quindi deriva dal fatto che si tratta  del vissuto indiretto di eventi traumatici. 

Si manifesta come conseguenza  di un forte carico emotivo e impegno  nella cura di un altro individuo, in seguito al tentativo di supportarlo. Dunque, coloro che sono esposti al rischio di trauma secondario sono tipicamente professionisti e volontari quali soccorritori e personale socio-sanitario. Se si esclude il fatto che in questa particolare condizione l’esposizione all’evento traumatico è indiretta, i sintomi sono gli stessi presenti  nel Disturbo Post-Traumatico da Stress ovvero: pensieri intrusivi, la tendenza ad evitare qualsiasi situazione che possa ricordare o mettere nella condizione di ripercorrere con la mente l’evento traumatico, poiché troppo doloroso da sopportare a livello psicologico, aumento dell’arousal cioè dello stato di attivazione neurovegetativa dell’organismo e più in generale una compromissione del funzionamento dell’individuo.  

Per chi soffre di questa forma di trauma, il peso emotivo dell’assistenza risulta insostenibile. Spesso gli operatori si mettono maggiormente a rischio quando adottano strategie di distacco e controllo delle proprie emozioni, portando gradualmente a diventare incapaci di verbalizzare ciò che stanno vivendo, a distaccarsi da ciò che provano e quindi dalla sofferenza dell’altro. Possiamo sostenere che la reazione in questo caso non è dovuta al trauma in sé, ma  alla relazione d’aiuto, basata su empatia e immedesimazione, che si instaura tra “vittima” e “soccorritore” in situazioni ad alto impatto emotivo.

La Sindrome da Burnout  

Il Burnout può essere un’altra forma di Compassion Fatigue (Beck 2011; Ricard 2015), indica una condizione di spossamento e insoddisfazione nel proprio lavoro, dovuto alla percezione di un carico eccessivo che perdura per un lungo periodo di tempo, ma la Sindrome da Burnout può colpire indipendentemente dal tipo di professione o dall’esposizione indiretta a situazioni traumatiche, in quanto è conseguenze della scarsa qualità di vita professionale.  

Viene provata nel momento in cui il soggetto percepisce la mancanza di gratificazione, di aver esaurito le risorse per svolgere al meglio il proprio lavoro e nel caso si verifichi nelle professioni d’aiuto, può portare alla deresponsabilizzazione, ovvero ad una  perdita d’interesse nei confronti delle persone a cui il professionista dovrebbe rivolgere le proprie attenzioni. Avverrebbe un conflitto  tra sentimenti di rabbia, frustrazione e stanchezza e la capacità di mostrare empatia rispetto a chi si deve curare (Maslach, Schaufeli e Leiter 2001). 

La Compassione Fatigue e il Burnout  differiscono anche per la modalità di insorgenza, la prima è uno stato che scaturisce immediato e acuto, mentre il Burnout è un processo più  graduale, corrisponde a un  progressivo consumarsi motivazionale dell’operatore, che si sente sopraffatto dal proprio lavoro e incapace di promuovere un cambiamento positivo (Figley, 1995). Il Burnout risulta associato al contrasto tra la richiesta di inibire le proprie emozioni sul lavoro per favorire un buon risultato e quella di mostrare empatia per il fatto di avere un ruolo di colui che cura.

Non solo effetti negativi della cura

Ovviamente l’ambito della cura non comporta solo conseguenze negative per gli operatori. La risposta dell’esposizione a un evento traumatico si inserisce  lungo una linea che va da un estremo positivo di Compassion Satisfaction, la soddisfazione percepita dalla cura,  ad un estremo negativo di  Compassion Fatigue. Lo sviluppo della Compassion Fatigue può essere determinato sia dalla situazione contestuale, quindi dal tipo e dal tempo di esposizione ad un certo evento, sia dalle proprie strategie di coping (Figley, 2002). 

Spesso si è osservato che i medesimi fattori che possono produrre soddisfazione in un professionista, in termini di impegno e  gratitudine, possono improvvisamente tramutarsi nella fonte del malessere. E’ un confine a volte sottile e del quale possiamo non essere consapevoli.

Cosa fare per prevenire e gestire il rischio di Compassion Fatigue, Trauma Secondario e Burnout?

Sicuramente un’ambiente di lavoro adeguato, che tenga conto del rischio   fisico, ma anche del rischio emotivo dei propri operatori, che offra loro la possibilità di un sostegno individuale o di gruppo, sembrerebbe la condizione ideale, ma  sappiamo che spesso per diversi motivi, non è possibile garantire un’ambiente ottimale. 

Risulta fondamentale sicuramente il ruolo svolto dal gruppo di lavoro, riuscire ad utilizzarlo come risorsa per poter avere un confronto, narrare e condividere i propri vissuti può essere di aiuto.  Possiamo adottare, se possibile, piccoli accorgimenti personali che possono ulteriormente contribuire alla riduzione del rischio:  garantirsi un tempo personale che possa bilanciare lavoro con altre attività di svago e riposo, mantenere viva la propria rete personale, amicale e familiare, tutto questo  per favorire una decompressione del carico emotivo che si sta vivendo.

Certamente la principale prevenzione risulta diffondere la  conoscenza di queste sindromi, spesso confuse o sottovalutate, capire qual è la loro insorgenza, cosí da riconoscerne facilmente i segni e in maniera tempestiva poter chiedere aiuto.

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